GIORGIO TENTOLINI E MICHEL COGO

PORTRAIT: MEMORIA, IDENTITÀ, TRASFORMAZIONE

camera 39

8 MARZO - 3 MAGGIO, 2025

ABOUT KROMYA

KROMYA ART GALLERY viene fondata nel 2018 a Lugano da Tecla Riva, Giorgio Ferrarin e Adriano A. Sala come risultato di una passione e di competenze comuni di lunga data. Nel 2020 KROMYA ha ampliato la propria sede con un nuovo avamposto a Verona, in Italia

La mostra Portrait: Memoria, Identità, Trasformazione di Giorgio Tentolini e Michel Cogo, in programma presso Kromya Art Gallery di Verona, esplora il ritratto non come una semplice rappresentazione statica, ma come una costruzione in continua evoluzione. L’esposizione, che si inserisce nell’ambito delle celebrazioni per l’8 marzo e la manifestazione organizzata dal Comune di Verona, il cui tema è “Il potere delle donne”, sfida la tradizionale concezione del ritratto come fermo e immutabile. L’opera d’arte, al contrario, è vista qui come un campo di metamorfosi, un luogo di sedimentazione, intersezione e riemersione.

In questa mostra, i due artisti indagano il ritratto come un processo che non solo svela ma anche nasconde, interrogando la memoria, l’identità e le tracce lasciate dal tempo. L’immagine di una figura non è più una rappresentazione immutabile, ma un campo di esperienze in cui memoria e oblio si intrecciano e si fondono, creando un equilibrio dinamico tra ciò che persiste e ciò che svanisce. Tentolini e Cogo invitano il visitatore a riflettere su quanto la figura umana, così come il volto e il corpo, possano essere interpretati come superfici di segni, tracce e trasformazioni.

Giorgio Tentolini, attraverso l’uso di sovrapposizioni materiche, crea opere che destrutturano la figura umana, restituendo il volto in forme instabili ed evanescenti. I suoi ritratti non si cristallizzano mai in un’idea assoluta di bellezza, ma si manifestano come residui di un passato che si riattualizza continuamente. Il suo lavoro esplora come la memoria, pur essendo un accumulo di esperienze, diventi anche un vincolo visivo, in cui la stratificazione delle immagini non è solo un atto di conservazione, ma anche di prigionia dell’immagine stessa, intrappolata nel tempo. Tentolini è noto per la sua capacità di portare alla luce la leggerezza meditativa, utilizzando materiali come il tulle e la rete metallica per conferire un senso di trasparenza e sospensione all’immagine.

Michel Cogo, dal canto suo, lavora nel dominio del segno grafico, un linguaggio immediato e definitivo che si oppone alla fluidità dell’era digitale. Ogni tratto che Cogo imprime sulla carta è definitivo, senza possibilità di revisione. Il suo approccio è intrinsecamente radicato in un tempo lento e irreversibile, un tempo che non si adatta alle velocità del mondo contemporaneo. Nei suoi ritratti, il segno diventa un atto fisico che resiste all’effimero, una traccia che si costruisce e si dissolve, proprio come l’identità, sempre in metamorfosi. Il suo lavoro si richiama al concetto di rizoma, elaborato da Deleuze e Guattari, dove il disegno è aperto e in divenire, senza gerarchie fisse. La memoria si manifesta come una scrittura inconscia, un intreccio di tracce che raccontano la trasformazione e la metamorfosi dell’individuo.

La mostra si sviluppa attorno a un doppio riferimento mitologico e filosofico: da un lato, l’immagine si lega al mito di Mnemosyne, la Titanide della memoria, e dall’altro al fiume Lete, simbolo dell’oblio. La memoria e l’oblio, quindi, non sono forze opposte, ma elementi che si compenetrano e si ridefiniscono costantemente, nel continuo processo di trasformazione dell’identità. La visione di Gilles Deleuze sull’identità come processo di continua evoluzione e mutamento è un concetto fondamentale per leggere l’intero percorso della mostra, che invita il pubblico a riflettere sull’instabilità dell’immagine e sull’incessante trasformazione della percezione.

In questo contesto, l’opera d’arte diventa un viaggio nella metamorfosi della percezione, un attraversamento della soglia dell’immagine, dove ogni volto è una testimonianza e un frammento, ogni traccia è un varco, ogni segno un atto di trasfigurazione. L’arte non si limita a essere una rappresentazione, ma diventa un’esperienza vissuta, un incontro tra metafora visiva e osservatore, in cui l’identità non si fissa mai, ma continua a ridefinirsi nel momento stesso in cui viene osservata. Come affermato dal filosofo Mikel Dufrenne, l’opera d’arte non è solo percezione, ma un’esperienza vivente che si arricchisce nell’atto stesso del guardare.

Crediti fotografici: Michele Sereni